Cineforum
FINAL PORTRAIT
Martedì 24 aprile
18:00
21:00

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Un film scritto e diretto da STANLEY TUCCI
Tratto dall’autobiografia di James Lord Un ritratto di Giacometti

Nel 1964, durante un breve viaggio a Parigi, lo scrittore americano e appassionato d’arte James Lord incontra il suo amico Alberto Giacometti, un pittore di fama internazionale, che gli chiede di posare per lui. Le sedute, gli assicura Giacometti, dureranno solo qualche giorno. Lusingato e incuriosito, Lord accetta.

Non è solo l’inizio di un’amicizia insolita e toccante, ma anche – visto attraverso gli occhi di Lord – di un viaggio illuminante nella bellezza, la frustrazione, la profondità e, a volte, il vero e proprio caos del processo artistico.

DURATA   1:30′
GENERE   Biografico, Drammatico

NOTE DI PRODUZIONE
Gail Egan ha prodotto FINAL PORTRAIT per Potboiler Productions, insieme a Nik Bower per Riverstone Pictures e Ilann Girard per Arsam International. La Egan ha immediatamente sposato il progetto dopo aver letto la sceneggiatura di Stanley Tucci, tratta da un romanzo autobiografico di James Lord, Un ritratto di Giacometti.
Il libro racconta l’ultimo incontro tra Alberto Giacometti e James Lord, un giovane e facoltoso americano che aveva fatto amicizia con l’artista, già avanti con gli anni, durante una delle sue frequenti visite a Parigi. I due erano amici da più di dieci anni quando Giacometti chiese a Lord di posare per quello che sarebbe diventato il suo ultimo ritratto. Giacometti gli promise che sarebbe stato un lavoro di un pomeriggio: in realtà, il ritratto richiese 18 lunghe e tormentate sedute. Il lavoro terminò solo quando Lord disse a Giacometti che non poteva più né aggiungere né togliere niente a quel dipinto. Giacometti regalò il ritratto a Lord come gli aveva promesso. Voleva dipingerne un altro, ma morì due anni dopo: i due uomini non si sarebbero mai più incontrati. Il dipinto fu venduto nel 1990 per oltre 20 milioni di dollari.
Giacometti era uno dei pittori preferiti da Gail Egan, che ha voluto subito leggere il copione, soprattutto dopo avere scoperto che Geoffrey Rush avrebbe interpretato il protagonista. “Era scritto benissimo”, ricorda, “e mi è sembrato che cogliesse perfettamente l’essenza di quello che significa essere un artista. Mi è piaciuto molto e ho chiesto a Stanley se potevo aiutare a realizzarlo”.
Il resto del cast è stato scelto dalla direttrice del casting Nina Gold, compreso Armie Hammer, che le è apparso subito perfetto per interpretare Lord (anche se sulle prime Tucci lo riteneva troppo bello). “Armie era la controparte ideale per il Giacometti di Geoffrey. Dopo averlo incontrato una volta, Stanley non ha più avuto dubbi: Armie era dei nostri”, racconta la Egan. “Stanley voleva a tutti i costi due attrici francesi per i ruoli di Annette e Caroline”, prosegue la produttrice, “e siamo stati fortunati, perché Sylvie Testud e Clémence Poésy hanno letto il copione e se ne sono subito innamorate”. La Testud interpreta Annette, la moglie trascurata e sofferente di Giacometti; mentre la Poésy è Caroline, la prostituta che divenne musa, amante e ossessione di Giacometti. Tony Shalhoub è stata la prima scelta di Tucci per Diego, il fratello dell’artista. “Non conoscevo Tony”, spiega la Egan, “e avevo suggerito a Stanley di interpretare lui, Diego. Ma Stanley aveva deciso di non recitare nel film, per concentrarsi sulla regia”. E conclude: “Stanley ha voluto Tony fin dall’inizio e aveva assolutamente ragione: è stato meraviglioso.”
La Egan è altrettanto entusiasta del cast tecnico. “Siamo stati davvero fortunati a poter contare su professionisti di così grande talento. Sono certa che a convincerli siano stati la simpatia di Stanley e la sua bellissima sceneggiatura”.
Il film è stato girato in sole quattro settimane presso i Twickenham Studios e in esterni a Londra, che è servita da controfigura di Parigi nel 1964. Una tappa fondamentale è stata ricreare lo studio di Giacometti, dove si svolge buona parte dell’azione. Si è scelto di ricostruire lo studio sul set, disegnato dallo scenografo James Merifield, anziché girare in uno studio vero, che sarebbe stata l’opzione più economica. Ma sul set, spiega la Egan, “il direttore della fotografia Danny Cohen e il tecnico delle luci Paul McGeachan, hanno potuto progettare un impianto luci che ci ha consentito di girare a qualsiasi ora del giorno. Bastava premere un bottone e passavamo dalle nuvole al sole, o dalla mattina alla sera e viceversa. Fantastico”.
Per le scenografie, Merifield si è basato su diverse fonti piuttosto accurate, perché esistono molte foto e filmati dello studio di Giacometti. È stato solo allargato un po’ per consentire agli attori e alla troupe di muoversi con disinvoltura, ma per tutto il resto è estremamente fedele all’originale. “Ci siamo accorti molto presto che in questo film il set era uno dei protagonisti”, spiega Merifield. “Praticamente è un altro attore. Spero che il pubblico riesca a sentire battere il suo cuore”.
Anche se al centro del film ci sono soprattutto i personaggi, i rapporti tra loro e una particolare opera d’arte, anche le altre opere che apparivano nello studio dovevano risultare credibili. La Fondazione Giacometti si è impegnata a garantire l’autenticità storica delle opere presenti nello studio all’epoca, e a seguire il lavoro dei quattro artisti che hanno avuto il compito di ricreare i quadri e le sculture di Giacometti.
Una volta realizzato lo studio, la produzione doveva trovare angoli di Londra in cui poter ricreare la Parigi anni Sessanta. Merifield e la sua équipe hanno trovato ristoranti, teatri, caffè e altri spazi che, con l’aggiunta di qualche auto d’epoca ben piazzata e di alcuni effetti visivi, hanno permesso di usare Londra come controfigura di Parigi.
I costumi erano fondamentali per definire personaggi così diversi tra loro. La costumista Liza Bracey spiega che in tutte le immagini di Giacometti, l’artista indossa sempre gli stessi abiti, quasi una divisa: una giacca di tweed, camicia, cravatta e pantaloni. “Sembrava quasi che non se li togliesse mai: ci viveva dentro. Aveva sempre un aspetto un po’ trasandato, logoro e polveroso”.
Nonostante alcune straordinarie somiglianze tra Geoffrey Rush e Giacometti, fisicamente sono molto diversi, e l’attore ha avuto bisogno dei costumi per completare la trasformazione. “Giacometti era basso e tarchiato”, spiega la costumista, “mentre Goffrey è alto e magro, quindi abbiamo dovuto imbottirlo un po’ e fargli indossare pantaloni e giacche più larghe per irrobustire la sua corporatura”.
Fisicamente, Lord è l’opposto di Giacometti: sempre immacolato e inappuntabile nell’abbigliamento, anche se qui è costretto a indossare sempre gli stessi vestiti per via del ritratto in corso. La tensione tra i due uomini cresce man mano che il ritratto procede, e i pantaloni chiari di Lord cominciano ad apparire un po’ sporchi. Come osserva la Bracey, Lord viene da un mondo molto diverso da quello degli altri personaggi: “Per quanto sporchi, i suoi abiti saranno sempre fuori posto in quello studio”.
Annette, che da giovane era stata molto bella, negli anni Sessanta era già un po’ sciatta e sfiorita. “È difficile fare apparire sciatta Sylvie Testud”, prosegue la costumista, “ma siamo stati aiutati dal fatto che lo studio di Giacometti e le stanze adiacenti sono freddi, sporchi e inospitali. Così, Sylvie è sempre vestita a strati e indossa pesanti cardigan di lana”. Caroline, invece, è una ventata di colore. “Porta nel film giovinezza e leggerezza”, spiega la Bracey. “Mentre tutti indossano abiti tendenzialmente scuri, Caroline è l’unica che porti un po’ di colore. E’ l’anima del film, dal punto di vista dei costumi”.
Non è stato facile portare questa storia sullo schermo, e con un budget così ristretto, ma il film ha superato ogni ostacolo. Racconta la produttrice: “Quando hai attori collaborativi che non si lamentano mai, e una troupe che fa i salti mortali per dare il massimo, tutto diventa possibile”.