Ea, ragazzina di 11 anni, vive a Bruxelles e racconta la propria storia, dicendo di essere figlia di Dio, uno odioso, antipatico e dedito a rendere miserabile l’esistenza degli uomini. Per uscire da una situazione insostenibile, Ea si appropriarsi di nascosto del computer del padre e ne approfitta per inviare a tutti gli esseri umani un sms con la data della rispettiva morte. In più sceglie come collaboratore il barbone Victor e lo incarica di prendere appunti per scrivere un ‘nuovo’ Nuovo Testamento…

  • DURATA: 1:53'
  • GENERE: Commedia, Grottesco

Valutazione Pastorale
Si parte con una domanda che porta all’inevitabile coinvolgimento dello spettatore: cosa faremmo se venissimo all’improvviso a sapere anno, giorno e ora esatti della nostra morte? L’interrogativo forse è fin troppo diretto e inquietante, se andando avanti Jaco Van Dormael, regista e cosceneggiatore, avverte il bisogno di prenderne in qualche modo le distanze. Il sistema al quale il sulfureo autore belga ricorre è quello di virare subito da un impossibile realismo ad un caleidoscopio di immagini grottesche e scombinate (vedi all’inizio le giraffe a spasso per Bruxelles fino allo scimpanzé scelto dalla Deneuve) dentro le quali si agita un dio irascibile e bilioso, facilmente messo in scacco dalla figlia adolescente. Lasciata libera di sfogarsi, la ragazzina apre il tappo della tirannia paterna e lascia uscire il caos. E’ il momento in cui Van Dormael dà libero sfogo a invenzioni, eccessi, immagini miste e stucchevoli tra visionarietà, lirismo, kitsch e toni sopra le righe. Confermando allo stesso tempo di essere del tutto lontano da un approccio riflessivo e aderente alla profondità della tematica teologica. In lui prevale il gusto della sbandamento, della sorpresa irrazionale, della descrizione di un mondo (e di un cinema) finalizzato a estrarne i succhi beffardi, stonati, irriverenti. Fa bene a citare come riferimento Ferreri e la decostruzione secca e perfida dell’esistenza che caratterizza molti suoi film. Meno azzeccata appare la citazione di Fellini, perché del riminese manca del tutto lo sguardo di apertura e di compassione sulla miserie umane. Prevale il divertissement, che non tocca la verità e la bellezza delle figure e dei testi evangelici e non evita il rischio che il racconto cada in momenti di stanca e giri un po’ a vuoto su stesso. Poco serio e poco stimolante, un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come complesso, problematico e da affidare a dibattiti.